I RELIGIOSI NELLA REPUBBLICA
SOCIALE ITALIANA
I RELIGIOSI NELLA RSI
Bruno De Padova
VESSILLO DI FEDE E DI CIVILTA IL SAIO DEI CAPPELLANI
FRA'GINEPRO, DON SCARPELLINI E PADRE EUSEBIO, CON ALTRI NOVECENTO SACERDOTI-SOLDATO,
PORTARONO NELLA RSI LA POTENZA COSTRUTTIVA DELLA COSCIENZA CRISTIANA
L'albeggiare nelle molteplici, drammatiche giornate
sofferte da Genova dopo quella della cosiddetta liberazione di cinquant'anni
or sono, si distingueva più che per il levare del sole, da un ben
diverso spettacolo, cioè da quel «mattutino di Stalin»
caratterizzante in ogni quartiere del capoluogo ligure, sulle piazze, per
i viali e nei «carrugi» una crescente, spietata caccia al fascista
o presunto tale che, per settimane, sparse sempre più sangue e lasciò
abbandonati un grande numero di cadaveri in ogni area urbana, da Voltri
a Nervi.
Fu in una di quelle mattine che il cappellano militare
Fra' Ginepro di Pompeiana respinse il ritiro in luogo sicuro: «Il
mio posto non è in noviziato; se quando i miei fratelli andarono
alla guerra li seguii come cappellano militare, se quando caddero prigionieri
li seguii nei campi di concentramento, ora che sono trattenuti in carcere
li devo seguire nella galera.», rispose il «confessore del
Duce» a chi voleva salvarlo dal pericolo sempre più incombente
di una sua cattura, essendo molto ricercato dai partigiani. E più
tardi - dopo essersi presentato da solo ai capi del CLN nella cella più
grande del carcere di Marassi salì sul pancaccio e così supplicò
per tutti i reclusi a viva voce: «O Cristo Signore, che per salvare
l'umanità sei stato incatenato e crocifisso, ascolta il grido lamentoso
che ogni giorno Ti eleviamo dal fondo della nostra galera.
Non tardare a mettere in luce la nostra innocenza
ed a restituirci alla nostra casa, fatti migliori dalle sofferenze patite.
Volgi uno sguardo pietoso alla famiglia che è rimasta senza sostegno,
alla Patria che attraversa momenti dolorosi, al Mondo coperto di ossami
e di macerie. E fa che per tutti sia pace, prosperità e benedizione.
Così sia!»
Questa orazione, come ci conferma il Pio Cappuccino
(Fra' Ginepro) nel suo tomo Convento e galera, fece subito il giro di tutte
le celle di Marassi, col tempo lo farà anche nelle altre carceri
d'Italia, lo sequestreranno in diversi penitenziari - quando scritto -
come messaggio fascista, ma superando ogni barriera verrà recitata
anche dai tubercolotici di Pianosa e dai pazzi di Aversa.
Avvenne così che sull'altare del più
severo sacrificio eretto per la Storia dai più intrepidi credenti
nei valori civili della Nazione, di socialità e di libertà,
illuminato durante l'intera epopea della Repubblica Sociale Italiana dallo
splendore del sacrificio di ognuno che volle contribuire al migliore sviluppo
dei popoli, si localizzarono anche quelli dei numerosi Cappellani-Soldato
che dopo la vergogna per l'Italia dei tradimenti del 25 luglio e dell'8
settembre 1943 non disertarono, ma vollero continuare la loro inclita missione
di Fede cristiana a fianco dei Combattenti per l'Onore della Patria.
NASCE, COL GIURAMENTO, LA NUOVA FEDELTA’
Procediamo però, con ordine: nella Rsi, attraverso
la Seconda sezione dell'Ordinariato Militare per l'Italia (istituzione
introdotta dal Fascismo nel 1926 per il Regio Esercito e la Mvsn, poi inserita
per volontà di Mussolini nel Concordato con la Chiesa cattolica)
venne disciplinato il servizio dei Cappellani Volontari nelle varie Forze
Armate repubblicane, al quale aderirono oltre novecento ministri ecclesiastici
operanti non solo presso i più importanti Comandi oppure in altri
Distretti militari, ma anche nelle diverse Unità divisionali, nei
distaccamenti della Guardia Nazionale Repubblicana, in quelli successivi
delle Brigate Nere, nella X Flottiglia Mas, in ogni Reparto speciale ecc.
nonché in Francia, Balcania, Dodecanneso, Egeo, tra i Lavoratori
italiani nel Terzo Reich, tra le truppe italiane prigioniere (e non «cooperatrici»)
in India, Usa, Gran Bretagna, Urss e altrove.
In qualità di Pro-Vicario generale militare
per le FF.AA. della Rsi sino al marzo 1945 rimase mons. Giuseppe
Casonato, poi - dopo la circolare natalizia del '44 mediante la quale iniziava
ad esercitare pressioni politiche contrarie all'azione del Governo repubblicano
gli succedette il Cappellano capo del Piemonte mons. Silvio Solero.
In precedenza, sul testo del giuramento di fedeltà alla Rsi, l'ordinario
militare mons. A. Bartolomasi aveva frapposto inizialmente qualche difficoltà
essendo stata da lui avanzata una formula diversa da quella predisposta
dal Governo, ma entro il dicembre '44 tutti i Cappellani Volontari avevano
giurato secondo la formula regolamentare, cioè: «Giuro di
servire e di difendere la Repubblica Sociale Italiana nelle sue istituzioni
e nelle sue leggi, nel suo onore e nel suo territorio, in pace e in guerra,
fino al sacrificio supremo. Lo giuro dinanzi a Dio e ai Caduti, per
l'unità, per l'indipendenza e per l'avvenire della Patria.».
Sull'alta qualità dell'opera svolta dai Cappellani
in grigioverde a nessuno può essere rimasto qualche dubbio, tanto
è vero che lo stesso mons. Bartolomasi dopo il 1945 specificò
come i «volontari cappellani militari della Rsi furono e restano
l'orgoglio dei cappellani militari italiani, per l'ineccepibile condotta
morale, per il senso eroico ed assoluto di servizio nell'assistenza religiosa
e spirituale dei reparti loro assegnati, per l'amore di Patria nell'assistere
e sostenere il morale di una popolazione civile, sotto l’inenarrabile flagello
che si abbatteva sull'intera Nazione italiana».
L'albo di gloria dei Cappellani militari dell'Onore
distingue ben ventotto ministri della Chiesa caduti per servizio o per
mano terroristica durante la Rsi e sono i seguenti: Fra' Fortunato Bertoni
(Modena), Mario Boschetti (Ferrara), Guerrino Cavazzoli (Germania), Sebastiano
Caviglia (Asti), Padre Crisostomo Ceragioli (Siena), Padre Antonio Ciervo
(Egeo), Padre Sigismondo Damiani (Macerata), Edmondo De Amicis (Torino),
Rosino Di Nallo (Frosinone), Giovanni Di Pietro (Teramo), Emilio Femandez
(Ferrara), Carlo Ferrari (Grosseto), Padre Fernando Ferrarotti (Aosta),
Vittorio Floriani (Germania), Giuseppe Gabana (Trieste), Padre Ceslao Galletti
(Roma), Domenico Gianni (Bologna), Umberto Lotti (Austria), Padre Simone
Nardin (Fiume), Adolfo Nannini (Firenze), Fra' Cleto Parodi (Egeo), Pietro
Roba (Imperia), Padre Angelico Romiti (Torino), Leandro Sangiorgio (Vercelli),
Carlo Terenziano (Reggio Emilia) e Antonio Torricella, -" (Francia).
Inoltre, sono sei i Sacerdoti-Soldato caduti l'8
settembre in Albania, Dalmazia, Montenegro e Serbia, vittime del comunismo
balcanico; due quelli nei campi non-cooperatori in India. Ascendono
a quarantaquattro i Cappellani militari italiani deceduti prima e dopo
l'armistizio badogliano nei campi sovietici di prigionia.
Molto più numerosi sono invece i sacerdoti
di Cristo che nel corso della Rsi oppure subito dopo il tragico 25 aprile
persero la vita, accusati di amicizia per i fascisti oppure per le truppe
germaniche in quanto rei di avere segnalato urgenti necessità delle
popolazioni e degli sfollati, come accadde - ad esempio - a don Aladino
Petri nel Pisano, vicino alla storica torre di Caprona, assassinato insieme
al maestro Lughetti da tre fuorilegge dei Gap in bicicletta.
DON TULLIO CALCAGNO E «CROCIATA ITALICA»
Coscienza del Vangelo e fedeltà ai valori
della Patria sono i canoni morali su cui la forte idealità di don
Tullio Calcagno fece leva per aprirsi al calvario 1943-45, lungo l'ascesa
del quale la sua Fede cattolica e il suo amore per l'Italia furono perseguitati
senza pietà, mai riuscendo però, ad indebolire la virile
temerarietà della sua missione.
Il dramma degli eventi politico-militari dell'estate
1943 colsero don Calcagno in Umbria, dove era parroco della cattedrale
di Terni e mentre sull'antica Interamna, trasformata dal Fascismo in grande
centro industriale, i bombardieri anglo-statunitensi della Raf e dell'Usaf
rovesciarono morte e distruzione. Dinanzi a così grave scempio
morale e materiale, il parroco della cattedrale ternana, sentendo nell'animo
la rudezza di Bernardino da Siena e conservando la mitezza di Francesco
d'Assisi, si aprì alla focosità di Domenico da Guzmàn
con la robustezza di fede appartenente ad Ignazio di Loyola, divenne testardo
come G. Galilei di fronte al Sant'Uffizio e non si arrese ai messi papali
quanto Gerolamo Savonarola, lasciò la città bagnata dal Nera
e salì nella Valle Padana per trovare a Cremona - dove l'armonia
dei liutai Amati, Guarnieri e Stradivari era salita in cielo più
del Torrazzo - il fulgore coerentemente innovativo di Roberto Farinacci,
l'incisività critica del quotidiano Il Regime Fascista, l'ardore
combattivo delle Schutzstaffeln italiane per la realizzazione costruttiva
ed operosa dei punti fondamentali del Pfr, sincronizzati nel «Manifesto
di Verona». E qui, dopo la notte dei tradimenti, respingendo
la materialità del comodo imboscamento, don Calcagno dà vita
al settimanale più intrepido di religiosità e patriottismo
e Crociata Italica si aprì anche all'assidua collaborazione dei
Cappellani volontari della Rsi. E’ vero che per la continua incisività
di Crociata Italica e per le relazioni settarie inoltrate alla Santa Sede
dalla Curia cremonese e di Milano, presto don Calcagno venne sospeso «a
divinis» da Bolla pontificia, ma è doveroso rammentare che
il sacerdote di Terni non dissentì mai con il Pontefice Pio XII
in materia di Fede, ma con il Sant'Uffizio che, appellandosi al Codice
Canonico esigeva l'astensione di questo religioso dall'esercizio giornalistico
della politica, mentre in quel tempo - tra i cortei schiamazzanti al seguito
degli invasori «alleati» dove erano riusciti ad arrivare -
si evidenziavano sempre più molti preti che, con il fazzoletto rosso
al collo... celebravano la cosiddetta liberazione, cantando Bandiera rossa
con i «fratelli» partigiani comunisti e alzando il braccio
sinistro in alto e con il pugno della mano ben chiuso. Anticipavano
di cinquant'anni l'attuale «passione» filomarxista di molti,
troppi prelati altolocati.
Quando nell'aprile '45 pervenne il tracollo militare,
il massacro di Dongo, il ludibrio di piazzale Loreto e la carneficina spietata
di fascisti o presunti tali, nessuno dei monsignori estensori delle relazioni
per la sospensione del sacerdote-direttore di Crociata Italica nutrì
un po' di pietas almeno latina per impedire che venisse trascinato da Crema
al carcere di San Vittore a Milano e poi buttato in piazzale Susa per rabbiosa
fucilazione. Troppi non capivano che, come Petrarca, don Calcagno
- in politica seppe scrivere «per ver dire, non per odio d'altrui,
né per disprezzo».
CAPPELLANI CON GLADIO, ALFIERI DI FEDE
Esiste nell'Ordinariato militare per l'Italia la
nobiltà morale per gli alfieri della cappa di San Martino ed essa
ha in Angelo Roncalli (Papa Giovanni XXIII), Giulio Facibeni (fondatore
a Firenze della Madonnina del Grappa, ospitante i perseguitati della Rsi),
Carlo Gnocchi (realizzatore di Pro Juventute a Milano), Luigi Soverini
(officiante a Roma per 20 anni la Santa Messa in latino il 28 aprile in
San Marco di Palazzo Venezia) e Giovanni Errani (sacerdote Divisione Etna
della Rsi) i Cappellani militari benemeriti nella vita religiosa e civile.
E’ dal loro esempio che durante la Repubblica sociale i loro colleghi con
i Gladi quale mostrina assolsero alla propria missione con la franchezza
e con la sensibilità francescane di cui militari e popolazione avevano
la maggiore necessità con senso di misericordia umana.
Il decano dei Cappellani della Rsi fu don Angelo
Scarpellini, romagnolo, insegnante di lettere a Bologna, giornalista, scrittore.
Pubblicò nel 1939 il libro Augusto nella luce del Vangelo, nel 1942
il volume Italia della Conciliazione, poi lasciò la cattedra per
essere vicino ai soldati e alle loro sofferenze. Don Scarpellini
fu assiduo collaboratore di Crociata Italica con gli articoli firmati Pier
l'Eremita e, in conseguenza di ciò, non ottenne il dovuto inserimento
nei ruoli dell'Ordinariato militare per l'Italia dei Cappellani volontari,
ma ciò non gli impedì di emergere nel ruolo di Sacerdote-soldato
prima nella Brigata Nera «Facchini» e poi nella Brigata Nera
Mobile «Pappalardo», comandata quest'ultima dal prof.
Pagliani. Dopo il 25 aprile venne condotto a Coltano e poi, su richiesta
di un magistrato di Reggio Emilia, si presentò a quel Tribunale
dove venne incarcerato e poi processato per collaborazionismo, condannato
a 24 anni di reclusione e poi assolto in Cassazione. Ma nel carcere
di Reggio Emilia venne sottoposto dai partigiani a gravi sevizie che gli
procurarono sordità totale, timpani rotti, denti spaccati e una
frattura al cranio. Quando i partigiani vennero tradotti dinanzi
a lui per individuare chi lo aveva martirizzato, e pure riconoscendoli,
al magistrato che lo invitava ad indicare i responsabili delle sevizie
egli rispose: «Non riconosco nessuno!».
Allorché riebbe la libertà, don Scarpellini
- sebbene invalido - riprese la sua attività educativa, portò
la sua voce in tante conferenze per illuminare gli Italiani sull'ampiezza
del sacrificio dei Martiri e dei Caduti della Rsi, chiese la Pacificazione
che inserisse nella Costituzione della Repubblica del 2 giugno la parificazione
dei diritti dei combattenti e dei dipendenti pubblici della Rsi a quelli
del regno del Sud, nonché di ogni beneficio da ciò derivante
e, nel contempo, diede alle stampe La Rsi nelle lettere dei suoi Caduti,
pubblicando anche Fausto Longiano (1959), La Pieve di San Giovanni in Compito
(1962),, Don Alessandro Berardi patriota riminese (1963) e altro ancora,
ma nel 1979 Dio lo chiamò a sé.
DIO E PATRIA, SINTESI IDEALE
Nell'ardente fucina di volontà cristiana
e patriottica di Crociata Italica si cimentarono molti altri sacerdoti
quali padre Blandino della Croce, don Antonio Bruzzesi, Fra' Galdino, padre
Egidio del Borgo, il benedettino Ildefonso Troya che, insieme al tenace
Fra' Ginepro di Pompeiana, perfezionarono i rispettivi intendimenti religiosi
nell'aiuto a tutti i sofferenti della tragedia nazionale. D'altronde,
il primo articolo di fondo del n° 1 di Crociata Italica era intitolato
Dio e Patria e in esso don Calcagno specificava: «Siamo cattolici,
apostolici, romani, figli devoti e membri vivi dell'unica Santa Chiesa
e tali intendiamo restare, con la grazia di Dio, fino alla tomba, nell'eternità
della Chiesa trionfante. Siamo repubblicani, perché col tradimento
del re, il regno ha cessato di esistere per tutti gli italiani e per tutti
gli uomini onesti, e ad esso è succeduto, nel modo più legittimo,
la Repubblica Sociale Italiana, sotto la guida di colui che, fino alla
vigilia della vergognosa catastrofe, era il Duce universalmente riconosciuto
da popoli e governanti, da pontefici e sovrani.»
Su questa ispirazione, insieme ai Sacerdoti-Soldato
indicati e agli altri novecento che nel tempo 1943-45 assolsero alla missione
apostolica di Cappellani volontari della Rsi, indirizzò con vigore
la propria azione francescana padre Eusebio che già nel giugno 1940
- due giorni dopo l'entrata dell'Italia in guerra - si era arruolato nell'Ordinariato
militare seguendo le sorti dei soldati prima tra gli Alpini, distinguendosi
in Albania e in Russia, indi nella base atlantica di Bordeaux, fino ad
essere catturato dai Tedeschi l'8 settembre ad Antibes. Padre Eusebio,
al secolo Sigfrido Zappaterreni e nativo di Montecelio (l'attuale Guidonia),
condannò la congiura di Grandi e Bottai, non accettò il tradimento
di Vittorio Emanuele III°e di Badoglio, ed aderendo alla Rsi si fece
promotore di tante conferenze per stimolare gli Italiani alla riscossa
morale.
Assumendo nel 1944 l'incarico di Capo Cappellano
militare delle Brigate Nere, padre Eusebio accentuò i suoi incontri
e dialoghi con il Duce e in settembre, mentre gli invasori iniziavano a
scontrarsi contro la Linea Gotica, Mussolini - nel tratteggiare i problemi
connessi ai rapporti fra lo Stato repubblicano e la Chiesa - gli disse:
«In vari rapporti si nota una recrudescenza rossa che non preoccupa
affatto il clero della Repubblica. Certe connivenze e complicità
con i fuorilegge sono sintomi di decadenza morale e prove incontrovertibili
di malafede.» Ma il colloquio non era finito. Mussolini continuò:
«Ogni settimana Mezzasoma mi fa il rapporto scritto sulla stampa
cattolica. Su centinaia di opuscoli, riviste e foglietti parrocchiali
non sono mai riuscito a trovare un accenno contro il comunismo. Lo
stesso dicasi delle allocuzioni che il clero fa la domenica nelle chiese.
Ditemi, cosa significa tutto questo nel momento critico che si attraversa?»
All'uomo liberato da Skorzeny sul Gran Sasso dalla
prigionia dei badogliani di a . liora, il Cappellano capo delle BB.NN.
rispose accentuando le sue prediche ai combattenti ed ai cittadini, aperse
il suo fervore francescano invocando il dovere delle genti per la difesa
della Patria, sollecitò una pace non dolorosa per la Nazione, affinché
i «fioretti» del santo di Assisi maturassero nel cuore degli
Italiani l'incitamento alla «perfetta letizia» dopo tante sofferenze.
In fedeltà alla Vocazione francescana, alla
bandiera tricolore dell'Onore, padre Eusebio coronò di splendore
la sua missione di Cappellano della Rsi nella primavera '45 quando - in
Galleria a Milano - profuse nella sua più ardente allocuzione l'invito
ai credenti in Dio e nella Patria a professare virtù di buon frutto
per la rinascita della Nazione e per costruire la Civiltà del futuro.
MISSIONI DI APOSTOLI SULLE FRONTI ITALIANE
A fianco di Fra' Ginepro e di Padre Eusebio che
svolgevano il loro compito di apostoli del Cattolicesimo oltreché
quali «confessori del Duce», anche come missionari di sostegno
morale ai combattenti, con uguale coscienza del Verbo cristiano si distinsero
sulle fronti della Linea Gotica, sulle Alpi occidentali e sulle doline
carsiche, in Istria e nella Dalmazia, quanto sul Baltico e nell'Egeo, i
Cappellani volontari della Rsi a fianco delle nostre truppe in grigioverde.
Ecco nella Divisione Littorio l'esempio fulgente
di Padre Marcello, al secolo Primiero Tozzi, che segui questa Unità
militare della Rsi dall'addestramento in Germania nel centro di Senne alla
difesa della sovranità italiana in Valle d'Aosta, dopo essere stato
in precedenza predicatore francescano dei Padri Minori nella Toscana, Tenente
Cappellano degli Alpini sulla fronte greco-albanese. Padre Marcello
confortò i soldati in grigioverde sulle impervie vette della fronte
aostana, segui i feriti negli ospedali e confortò le famiglie dei
Caduti durante e dopo la guerra, anche quando divenne Coadiutore diocesano
nella parrocchia di N. S. Gesù Cristo in Lastra a Signa, non mancando
mai nei contatti con i «suoi» reduci.
Nel rammentare gli eroismi dei soldati della Littorio
su quella fronte nell'inverno 1944-45 padre Marcello scrisse: «Alzatevi,
amici, e rimanete in alto. Sulle cime non vi è nebbia, né
fango, né mosche. » Le «penne nere» del 4°
Rgt. Alpini della Rsi avevano già compiuto questo confronto,
erano stati eroici nel sacrificio per l'Italia repubblicana. In modo
analogo, tra altre «penne nere», altri artiglieri da montagna,
genieri e complementari della Divisione Alpina Monterosa si distinse il
sacerdote-alpino Luigi Miglio con tutti i cappellani dislocati nei vari
reparti, dal campo germanico di addestramento in Miinsingen all'offensiva
d'inverno nella Garfagnana oppure nei contrattacchi e nelle «sortite»
sulle Alpi occidentali, dal Colle della Maddalena al Piccolo S. Bernardo
e al Moncenisio, ovunque le truppe alpine diedero prova del loro ardimento
sulle vette, ove - sia ben chiaro - Dio ad esse è più vicino.
A fianco della Divisione F.M. San Marco eccelle
Padre Candido Carlino, in quella Etna è presente Padre Giovanni
Errani, nel Rgt. Paracadutisti Folgore il temerario don Ovidio Zinaghi,
mentre con la X Flottiglia Mas oltre a Padre Martinengo quale Cappellano
capo si sono distinti don G. Graziani e don A. Castoldi nel Btg.
Barbarigo, don B. Folloti nel Btg. Lupo, don R. Pio nei Btgg. NP
e Sagittario, don Pettro nel 3' Rgt. Artiglieria e, su a Tamova, con il
Btg. Fulmine, proteso con le altre truppe autonome a difendere l'italianità
di Gorizia dall'aggressione del IX Korpus di Tito, non mancava don Casinúro
Canepa.
SPIRITO E COSCIENZA DEL CREDO EUROPEO
Questa leggenda di Fede e di eroismo assume più
valore proprio mentre il nostro vecchio Continente inizia a potenziare,
attraverso la Cce, la propria, nuova prova di unificazione politica, economica
e produttiva che la liberi dalla soggezione alla finanza degli Usa, nonché
dall'influenza vessatoria della plutocrazia anglo-statunitense cui del
progresso civile dell'Europa nel Terzo Millennio importa niente.
D'altronde, gli altri non possono capire come sulla
Via Crucis dell'Europa di mezzo secolo fa, dove il vessillifero del Credo
cattolico e italiano - quale era Fra' Ginepro - si ergeva illuminando con
lo splendore del suo Saio la nitidezza del Tricolore repubblicano per la
pace del lavoro e per l'equilibrio delle coscienze, si rafforzò
il valore etico posto a seme sul solco della Storia nel trascorrere dei
millenni per la Civiltà, da quello latino del Diritto al Cristianesimo
francescano, dall'Arte rinascimentale alle scoperte della Tecnica, dai
moti liberali e socialistici (Bismarck li sostenne nell'800 per l'Europa)
all'equilibrio fascista dell'economia produttiva attraverso le conquiste
di emancipazione garantite dalla socializzazione.
In questo, il Saio di Fra' Ginepro e degli altri
Cappellani Volontari della Rsi assume il più eletto valore per lo
Spirito e per le Coscienze. Ha consolato le sofferenze di tanti Martiri
e di molti Caduti. E simbolo di Italia, di Europa, significa Civiltà.
TABULA RASA 5 Settembre 1995. (Indirizzo
e telefono: vedi PERIODICI)
L'OLOCAUSTO
DEI RELIGIOSI NELLA RSI
AMATEIS Don Giuseppe, parroco di Coassolo (Torino),
ucciso a colpi di ascia dai partigiani comunisti il 15 marzo 1944, perché
aveva deplorato gli eccessi dei guerriglieri rossi.
AMATO Don Gennaro, parroco di Locri (Reggi o
Calabria), ucciso nell'ottobre 1943 dai capi della repubblica comunista
di Caulonia.
AMBROSI Don Luigi.
ARINCI Marino: seminarista.
BANDELLI (Bandeli) Don Ernesto, parroco di Bria,
ucciso dai partigiani slavi a Bria il 30 aprile 1945.
BARDET (Border) Don Luigi, parroco di Hone (Aosta),
ucciso il 5 marzo 1946 perché aveva messo in guardia i suoi parrocchiani
dalle insidie comuniste.
BARDOTTI Don Ugo.
BAREL Don Vittorio, economo del seminario di
Vittorio Veneto, ucciso il 26 ottobre 1944 dai partigiani comunisti.
BARTHUS Padre Stanislao della Congregazione di
Cristo Re (Imperia), ucciso il 17 agosto 1944 dai partigiani perché
in una predica aveva deplorato le «violenze indiscriminate dei partigiani».
BARTOLINI (Bortolini) Don Corrado, parroco di
Santa Maria in Duno (Bologna), prelevato dai partigiani il 1° marzo
1945 e fatto sparire.
BASTREGHI Don Duilio, parroco di Cigliano e Capannone
Pienza, ucciso la notte del 3 luglio 1944 dai partigiani comunisti che
lo avevano chiamato con un pretesto.
BEGHE' don Carlo, Parroco di Novegigola (Apuania),
sottoposto il 2 marzo 1945 a finta fucilazione che gli produsse una ferita
mortale.
BONIFACIO Don Francesco, curato di Villa Gardossi
(Trieste), catturato dai miliziani comunisti Jugoslavi l'11 settembre 1946
e gettato in una foiba.
BOLOGNESI Don Sperindio, parroco di Nismozza
(Reggio Emilia), ucciso dai partigiani comunisti il 25 ottobre 1944.
BORTOLINI Don Raffaele, canonico della Pieve
di Cento, ucciso dai partigiani la sera del 20 giugno 1945.
BOVO (Bove) Don Luigi, parroco di Bertipglia
(Padova), ucciso il 25 settembre 1944 da un partigiano comunista poi giustiziato.
BRAGHINI Dino: Chierichetto.
BULLESCHI Don Miroslavo, parroco di Monpaderno,
(Diocesi di Parenzo e Pola), ucciso il 23 agosto 1947 dai comunisti iugoslavi.
BEGNE' Don Carlo
BUSI Don Gogoli.
CALCAGNO Don Tullio - direttore di «Crociata
Italica», fucilato dai partigiani comunisti a Milano il 29 aprile
1945.
CALE'- Don Ernesto.
CAVIGLIA Don Sebastiano, cappellano della GNR,
ucciso il 27 aprile 1945 ad Asti.
CERAGIOLO Padre Giovan-Crisostomo, o.f.m., cappellano
militare decorato al valor militare, Prelevato il 19 maggio 1944 da partigiani
comunisti nel convento di Montefollonico e trovato cadavere in una buca
con le mani legati dietro la schiena.
CIOCCHETTI Don Paolo
CORSI Don Aldemiro, parroco di Grassano (Reggio
Emilia), assassinato nella sua canonica, con la domestica Zeffirina Corbelli,
da partigiani comunisti, la notte del 21 settembre 1944.
CORTIULA Don Virgilio, ucciso con suo padre e
Pavine Virgilio.
CRECCHI Don Ferruccio, parroco di Levigliani
(Lucca), fucilato all'arrivo delle truppe di colore nella zona, su false
accuse dei comunisti del luogo.
CURCIO Don Antonio, cappellano dell'11° Btg.
Bersaglieri, ucciso il 7 agosto 1941 a Dugaresa da comunisti croati.
DAMIANI Padre Sigismondo, o.f.m. ex cappellano
militare, ucciso dai comunisti slavi a San Genesio di Macerata l' 11 marzo
1944.
DAPPORTO Don Teobaldo, arciprete di Casalfiumanese
(Diocesi di Imola), ucciso da un comunista nel settembre 1945.
DE AMICIS Don Edmondo, cappellano, pluridecorato
della prima guerra mondiale, venne colpito a morte dai «gappisti»,
a Torino, sulla soglia della sua abitazione nel tardo pomeriggio del 24
aprile 1945, e spirò dopo quarantotto ore di atroce agonia.
DIAZ Don Aurelio, cappellano della Sezione Sanità
della divisione «Ferrara», fucilato nelle carceri di Belgrado
nel gennaio del '45 da partigiani «Titini».
DOLFI Don Adolfo, canonico della Cattedrale di
Volterra, sottoposto il 28 maggio 1945 a torture che lo portarono alla
morte l'8 ottobre successivo.
DONATI Don Enrico, arciprete di Lorenzatico (Bologna),
massacrato il 28 maggio 1945 sulla strada di Zenerigolo.
DONINI Don Giuseppe, parroco di Castagneto (Modena).
Trovato ucciso sulla soglia della sua casa la mattina del 20 aprile 1945.
La colpa dell'uccisione fu attribuita in un primo momento ai tedeschi,
ma alcune circostanze, emerse in seguito, stabilirono che gli autori del
sacrilego delitto furono gli altri.
DORFMANN Don Giuseppe, fucilato nel bosco di
Posina (Vicenza) il 27 aprile 1945.
D'OVIDIO Don Vincenzo, parroco di Poggio Umbricchio
(Teramo), ucciso nel maggio '44 sotto accusa di filo-fascismo.
ERRANI Don Giovanni, cappellano militare della
GNR, decorato al vm., condannato a morte dal CNL di Forli, salvato dagli
americani e poi deceduto a causa delle sofferenze subite.
FALCHETTI Don Giovanni.
FASCE Don Colombo, parroco di Cesino (Genova),
ucciso nel maggio del '45 dai partigiani comunisti.
FAUSTI Don Giovanni, superiore generale dei Gesuiti
in Albania, fucilato il 5 marzo 1946 perché Italiano. Con
lui furono trucidati altri sacerdoti dei quali non si è mai potuto
conoscere il nome.
FERRAROTTI Padre Femando, o.f.m., cappellano
militare reduce dalla Russia, ucciso nel giugno 1944 a Champorcher (Aosta)
dai partigiani comunisti.
FERRETTI Don Gregorio, parroco di Castelvecchio
(Teramo), ucciso dai partigiani slavi ed italiano nel maggio 1944.
FERRUZZI Don Giovanni, arciprete di Campanile,
Diocesi di Imola, ucciso dai partigiani il 3 aprile 1945.
FILIPPI Don Achille, parroco di Maiola (Bologna),
ucciso la sera del 25 luglio 1945 perché accusato di filofascismo.
FONTANA Don Sante, parroco di Comano (Pontremoli),
ucciso dai partigiani il 6 gennaio 1945.
FORNASARI Mauro: seminarista.
GABANA don Giuseppe, della diocesi di Brescia,
cappellano della VI legione della Guardia di Finanza ucciso il 3 marzo
1944 da un partigiano comuni sta.
GALASSI Don Giuseppe, arciprete di S. Lorenzo
in Selva (Imola), ucciso il 1° maggio 1945 perché sospettato
di filofascismo.
GALLETTI Don Tiso, parroco di Spazzate Sassatelli
(Imola), ucciso il 9 maggio 1945 perché aveva criticato il comunismo.
GIANNI Don Domenico, cappellano militare in Jugoslavia,
prelevato la sera del 21 aprile 1945 e soppresso dopo tre giomi.
GUICCIARDI Don Giovarmi, parroco di Mocogno (Modena),
ucciso il 10 giugno 1945 nella sua canonica dopo sevizie atroci da chi,
col pretesto della lotta di liberazione, aveva compiuto nella zona una
lunga serie di rapine e delitti, con totale disprezzo di ogni legge umana
e divina.
ICARDI Don Virgilio, parroco di Squaneto (Aqui),
ucciso il 4 luglio 1944, a Preto, da partigiani comunisti.
ILARDUCCI Don Luigi, parroco di Garfagnolo (Reggio
Emilia), ucciso il 19 agosto 1944 da partigiani comunisti.
JEMMI Don Giuseppe, cappellano di Felina (Reggio
Emilia), ucciso il 19 aprile 1945 perché aveva deplorato gli «eccessi
inumani di quanti disonoravano il movimento partigiano».
LAVEZZARI Serafino: Seminarista.
LENZINI Don Luigi, parroco di Crocette di Pavullo
(Modena), trucidato il 20 luglio 1945. Nobile, autentica figura di
Martire della Fede. Prelevato nottetempo da un'orda di criminali,
strappato dalla sua chiesa, torturato, seviziato, fu ucciso dopo lunghissime
ore di indescrivibile agonia, quale raramente si trova nella storia di
tutte le persecuzioni. Si cercò di soffocare con lui, dopo
che le minacce erano risultate vane, la voce più chiara, più
forte e coraggiosa che, in un'ora di generale sbandamento morale, metteva
in guardia contro i nemici della Fede e della Patria. Il processo,
celebrato in una atmosfera di terrore e di omertà, non seppe assicurare
alla giustizia umana i colpevoli, mandanti ed esecutori, i quali, con tale
orribile delitto, non unico, purtroppo, hanno gettato fango, umiliazione
e discredito sul nome della Resistenza Italiana. Ma dalla gloria
all'Eternità, come nella fosca notte del Martirio. Don Luigi
Lenzini fa riudire la ultime parole della sua vita, monito severo e solenne,
che invitano a temere e a stimare soltanto il giusto Giudizio di Dio. (N.B.
- Volantino fatto stampare a Pavullo l'8 agosto 1965).
LOMBARDI Don Nazzareno.
LORENZELLI Don Giuseppe, priore di Corvarola
di Bagnone (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 27 febbraio 1945, dopo
essere stato obbligato a scavarsi la fossa.
LUGANO Don Placido.
MANFREDI Don Luigi, parroco di Budrio (Reggio
Emilia), ucciso il 14 dicembre 1944 perchè aveva deplorato gli «eccessi
partigiani».
MATTIOLI Don Dante, parroco di Coruzza (Reggio
Emilia), prelevato dai partigiani rossi la notte dell'11 aprile 1945.
MERLI Don Ferdinando, mensionario della Cattedrale
di Foligno, ucciso il 21 febbraio 1944 presso Assisi da jugoslavi istigati
dai comunisti italiani.
MERLINI Don Angelo, parroco di Fiainenga (Foligno),
ucciso il medesimo giomo dagli stessi, presso Foligno.
MESSURI Don Armando, cappellano delle Suore della
S. Famiglia in Marino, ferito a morte dai partigiani comunisti e deceduto
il 18 giugno 1944.
MORA Don Giacomo.
NANNINI Don Adelfo, parroco di Cercina (Firenze),
ucciso il 30 maggio 1944 da partigiani comunisti.
NARDIN Don Simone, dei benedettini Olivetani,
tenente cappellano dell'ospedale militare «Belvedere» in Abbazia
di Fiume, prelevato dai partigiani jugoslavi nell'aprile 1945 e fatto morire
tra sevizie orrende.
OBID Don Luigi, economo di Podsabotino e San
Mauro (Gorizia), prelevato da partigiani e ucciso a San Mauro il 15 gennaio
1945.
PADOAN Don Antonio, parroco di Castel Vittorio
(Imperia), ucciso da partigiani l'8 maggio 1944 con un colpo di pistola
in bocca ed uno al cuore.
PAVESE Don Attilio, parroco di Alpe Gorreto (Tortona),
ucciso il 6 dicembre 1944 da partigiani dei quali era cappellano, perché
confortava alcuni prigionieri tedeschi condannati a morte.
PELLIZARI Don Francesco, parroco di Tagliolo
(Acqui), chiamato nella notte del 5 maggio 1945 e fatto sparire per sempre.
PERAI Don Pompeo, parroco dei Ss. Pietro
e Paolo di città della Pieve, ucciso per rappresaglia partigiana
il 16 giugno 1944.
PERCIVALLE Don Enrico, parroco di Varriana (Tortona),
prelevato da partigiani e ucciso a colpi di pugnale il 14 febbraio 1944.
PERKAN Don Vittorio, parroco di Elsana (Fiume),
ucciso il 9 maggio 1945 da partigiani mentre celebrava un funerale.
PESSINA Don Umberto, parroco di San Martino di
Carreggio, ucciso il 18 giugno 1946 da partigiani comunisti.
PERSICHILLO Don Giovanni.
PETRI Don Aladino, pievano di Caprona (Pisa),
ucciso il 2 giugno 1944 perché ritenuto filo-fascista.
PETTINELLI Don Nazzareno, parroco di Santa Lucia
di Ostra di Senigallia, fucilato per rappresaglia partigiana l'l 1 luglio
1944.
PIERAMI Giuseppe, seminarista, studente di teologia
della diocesi di Apuania, ucciso il 2 novembre 1944, sulla Linea Gotica,
da partigiani comunisti.
PISACANE Don Ladislao, vicario di Circhina (Gorizia),
ucciso da partigiani slavi il 5 febbraio 1945 con altre dodici persone.
PISK Don Antonio, curato di Canale d'Isonzo (Gorizia),
prelevato da partigiani slavi il 28 ottobre e fatto sparire per sempre.
POLIDORI Don Nicola, della diocesi di Nocera
e Gualdo, fucilato il 9 giugno 1944 a Sefro da partigiani comunisti.
PRECI Don Giuseppe, parroco di Montalto (Modena).
Chiamato di notte col solito tranello, fu ucciso sul sagrato della chiesa
il 24 maggio 1945.
RASORI Don Giuseppe, parroco di San Martino in
Casola (Bologna), ucciso la notte sul 2 luglio 1945 nella sua canonica,
sotto accusa di filo-fascismo.
REGGIANI Don Alfonso, parroco di Amola di Piano
(Bologna), ucciso da marxisti la sera del 5 dicembre 1945.
RIVI Rolando, seminarista, di Piane di Monchio
(Reggio Emilia), di 16 anni, ucciso il 10 aprile 1945 da partigiani comunisti,
solo perchè indossava la veste talare.
ROCCO Don Giuseppe, parroco di Santa Maria, diocesi
di S. Sepolcro, ucciso da slavi il 4 maggio 1945.
ROMITI Padre Angelico, o.f.m., cappellano degli
allievi ufficiali della Scuola di Fontanellato, decorato al v.m., ucciso
la sera del 7 maggio 1945 da partigiani comunisti.
SALVI Don Guido.
SANGIORGI Don Leandro, salesiano, cappellano
militare decorato al v.m., fucilato a Sordevolo Biellese il 30 aprile 1945.
SANGUANINI Don Alessandro, della congregazione
della Missione, fucilato a Ranziano (Gorizia), il 12 ottobre 1944 da partigiani
slavi per i suoi servimenti di italianità.
SLUGA Don Lodovico, vicario di Circhina (Gorizia),
ucciso insieme al confratello Don Pisacane il 5 febbraio 1944.
SOLARO Don Luigi, di Torino, ucciso il 4 aprile
1945 perché congiunto del federale di Torino Giuseppe Solaro anch'egli
soppresso.
SPINELLI Don Emilio, parroco di Campogialli (Arezzo),
fucilato il 6 maggio 1944 dai partigiani sotto accusa di filo-fascismo.
SPOTTI Nerumberto, Chierichetto.
SQUIZZATO Padre Eugenio o.f.m., cappellano partigiano
ucciso dai suoi il 6 aprile 1944 fra Corio e Lanzo Torinese perché
impressionato dalle crudeltà che essi commettevano, voleva abbandonare
la formazione.
TALE' Don Ernesto, parroco di Castelluccio Formiche
(Modena), ucciso insieme alla sorella l'l 1 dicembre 1944.
TAROZZI Don Giuseppe, parroco di Riolo (Bologna),
prelevato la notte sul 26 maggio 1945 e fatto sparire. Il suo corpo
fu bruciato in un forno di pane, in una casa colonica.
TATICCHIO Don Angelo, parroco di Villa di Rovigno
(Pola), ucciso dai partigiani jugoslavi nell'ottobre 1943 perchè
aiutava gli italiani.
TAZZOLA Don
TERENZIANI Don Carlo, prevosto di Ventoso (Reggio
Emilia), fucilato la sera del 29 aprile 1945 perché ex cappellano
della milizia.
TERILLI (Terilli) Don Alberto, arciprete di Esperia
(Frosinone), morto in seguito a sevizie inflittegli dai marocchini, eccitati
da partigiani, nel maggio 1944.
TESTA Don Andrea, parroco di Diano Borrello (Savona),
ucciso il 16 luglio 1944 da una banda partigiana perché osteggiava
il comunismo.
TORRICELLA Mons. Eugenio Corradino, della
diocesi di Bergamo, ucciso il 7 gennaio '44, ad Agen (Francia) da partigiani
comunisti per i suoi sentimenti d'italianità.
TRCEK Don Rodolfo, diacono della diocesi di Gorizia,
ucciso il l° settembre 1944 a Montenero d'Idria da partigiani comunisti.
VENTURELLI Don Francesco, parroco di Fossoli
(Modena), ucciso il 15 gennaio 1946 perché inviso ai partigiani.
VIAN Don Gildo, parroco di Bastia (Perugia),
ucciso dai partigiani comunisti il 14 luglio 1944.
VIOLI Don Giuseppe, parroco di Santa Lucia di
Medesano (Parma), ucciso il 31 novembre 1945 da partigiani comunisti.
ZALI Don Francesco.
ZAVADLOV Don Isidoro.
ZOLI Don Antonio, parroco di Morra del Villar
(Cuneo), ucciso dai partigiani comunisti perché durante la predica
del Corpus Domini del 1944 aveva deplorato l'odio tra fratelli come una
maledizione di Dio.
L'ULTIMA CROCIATA N. 4. Aprile 1995. (Indirizzo
e telefono: vedi PERIODICI)
QUELL'INQUIETO PARROCO DI SQUANETO
ASSASSINATO DAI SUOI "COMPAGNI"
Giannuzzi Ugo
Il 2 dicembre 1944, intorno alle 18.30, sulla strada
Pareto-Miòglia, veniva ucciso a colpi di rivoltella sparati da tre
partigiani, il sacerdote Virginio Icardi, parroco di Squaneto, una frazione
del Comune di Spigno Monferrato (AL). La salma, rinvenuta il giorno successivo,
venne deposta momentaneamente in una vicina cappella campestre; grazie
all'intervento del Generale Amilcare Farina, Comandante della Divisione
F.M. "San Marco" della R.S.I., che aveva ottenuto il consenso
del Vescovo di Acqui, fu tumulata nel Cimitero di guerra di Altare, detto
delle "Croci Bianche" e benedetta da un cappellano militare della
Divisione stessa, padre Giovanni Del Monte. Il Vescovo in persona si recò
a pregare su quella tomba.
Queste sono le circostanze per le quali don
Icardi viene inserito negli elenchi dei sacerdoti uccisi dai comunisti
durante e dopo la guerra civile 1943-1945, facendolo quindi figurare come
un martire della Fede e dell'Idea. Anche il mensile "Volontà",
voce dei "non-cooperatori", lo include recentemente in una lista
di venerabili sacerdoti uccisi, sbagliando, peraltro involontariamente
perché riporta dati di altra pubblicazione, data e località
e con la seguente motivazione: "Ucciso a Preto da partigiani senza
una ragione".
Ma chi era in realtà don Virginio Icardi?
Ce lo spiega un documento riservato, da poco venuto alla luce.
Don Icardi, parroco di Squaneto da circa 10 anni,
aveva già in precedenza dato motivo di rilievi da parte dell'autorità
ecclesiastica, tanto che aveva chiesto di essere trasferito in altra Diocesi,
ma senza esito. Amante della vita movimentata, quasi avventurosa, nel novembre
del 1943, cioè dopo l'armistizio dell'8 settembre, in una lettera
inviata al suo Vescovo, esprimeva il desiderio di partecipare alla lotta
che andava delineandosi fra partigiani da una parte e forze della R.S.I.
dall'altra. Naturalmente si cercò di dissuaderlo ma don Virginio
non dette ascolto ai consigli del suo superiore e trasformò la sua
canonica e la parrocchia in luogo di ritrovo e convegno di partigiani;
la qual cosa ovviamente attirò l'attenzione delle autorità
preposte al mantenimento dell'ordine pubblico. La sera del 21 maggio 1944
infatti, una pattuglia di militari germanici proveniente da Spigno, bussò
alla porta della canonica e don Icardi, spaventatissimo, saltò da
una finestra sul retro e fuggì. Da una località sconosciuta
inviò una missiva al Vescovo nella quale annunciava che da quel
momento si sarebbe dato alla macchia. Il Vescovo si interessò del
caso con le autorità e ottenne che il sacerdote potesse far ritorno
alla sua parrocchia senza molestie.
Trascorse così un periodo di irrequietezza
durante il quale don Virginio trascurò molti dei suoi doveri sacerdotali
e prese parte clandestinamente ad azioni partigiane. Finché il 1°
ottobre 1944 abbandonò il suo stato di parroco, vestì abiti
secolari, si armò e formò una sua banda di partigiani, comunicando
al Vescovo il fatto compiuto e il nome di battaglia da lui assunto di "Italicus".
Da quel momento Icardi prese un atteggiamento arrogante
e brigantesco, molestando, armi alla mano, i parroci della zona, sottoponendoli
a malversazioni e incitandoli a contravvenire a ogni disposizione dei superiori.
Mise a repentaglio le popolazioni che, per sua colpa, furono soggette ad
atti di rappresaglia. Arrivò perfino ad assaltare treni alla stazione
di Spigno, depredando i viaggiatori e portando a casa sua a Squaneto la
refurtiva, promettendo di dividerla poi con i suoi gregari. In definitiva
non agì come un cappellano, non celebrò mai una Messa per
i suoi seguaci, ma invitò e praticò solo la violenza. Le
sue imprese partigiane sembra siano anche state oggetto di un colloquio
telefonico, svoltosi a metà ottobre, tra il suo Vescovo e il Gen.Farina,
nella cui zona di competenza l'Icardi agiva. Ma tutti gli appelli e le
preghiere del Presule intese a farlo desistere dalla sua attività
risultarono inutili.
Arrivò però il momento che i componenti
la sua banda, una diecina di giovani e di ragazze, si stancarono di lui
e decisero di abbandonarlo, aggregandosi ad altre formazioni partigiane;
il caso determinante fu la cattura di un ufficiale repubblicano che gli
venne affidato in custodia ma che lui si lasciò scappare. Minacciato
dai suoi, don Icardi fuggì a Cortemilia cercando di unirsi al noto
"Mauri" (al secolo Enrico Martini) ma ne fu respinto. Pensò
allora di rientrare a Squaneto ma si ritrovò con soli quattro o
cinque elementi rimasti e tirò avanti fino a dicembre. La sera del
2 di quel mese con tre di questi partigiani arrivò a Pareto; si
separò dai suoi accompagnatori fuori del paese e andò a trovare
il parroco del luogo, che ben conosceva; inutilmente venne da questi esortato,
ancora una volta, a rimettersi sulla retta via. Don Icardi uscì
dalla canonica di Pareto e raggiunse i tre compagni che aveva precedentemente
lasciati (sembra che i loro nomi siano noti nella zona) i quali, eseguendo
un piano evidentemente prestabilito, lo uccisero a revolverate, abbandonandolo
sul posto.
Come si è già detto, la salma fu trovata
il giorno seguente e sepolta nel Cimitero di Altare su iniziativa del Gen.Farina.
Fu molto probabilmente questo gesto di umanità e di autentica pacificazione
del Comandante della "San Marco" che, negli anni seguenti, ingenerò
la convinzione che don Virginio Icardi avesse immolato la sua vita per
gli stessi Ideali per i quali caddero don Edmondo De Amicis, padre Cesare
Romiti, don Leandro Sangiorgi e tanti, tanti altri sacerdoti che allora
furono uccisi per la sola colpa di essere stati Cappellani militari della
R.S.I.
IL SECOLO D’ITALIA Quotidiano del 23 Marzo 1991
INTRODUZIONE - DODICI PRETI ASSASSINATI A
REGGIO EMILIA
da LA CHIESA REGGIANA TRA FASCISMO E COMUNISMO di Rossana Maseroli
Bertolotti. Editore Il Girasole d’Oro. 2001.
Secondo uno studio del 1963 eseguito dall'azione
Cattolica, dal 1940 al 1946 rimasero uccisi trecento sacerdoti italiani.
L'ultimo fu Don Umberto Pessina, ucciso da ex partigiani
comunisti a Reggio Emilia, in località San Martino di Correggio,
il 18 giugno 19461.
Nella provincia di Reggio Emilia, dall'8 settembre
al 18 giugno 1946, venivano uccisi 12 religiosi. Otto sacerdoti ed un seminarista
dai partigiani comunisti2 , due sacerdoti dalle forze armate
tedesche, ed un altro dai soldati della Repubblica Sociale Italiana (RSI).
Il 30 gennaio 1944, in seguito alla uccisione del
capo squadra della RSI, Angelo Ferretti, veniva fucilato, insieme ad altri
8 reggiani, don Pasquino Borghi, parroco di Tapignola, condannato alla
pena capitale da una sentenza del Tribunale Speciale Straordinario di Reggio
Emilia3.
Il 20 marzo 1944, veniva fucilato dai paracadutisti
della divisione Hermann Goering a Cervarolo, dopo essere stato ingiuriato,
insieme ad altri 21 abitanti del paese, il parroco Don Battista Pigozzi.
Tra il 30 giugno ed il 5 luglio 1944, veniva ucciso
a Vallisnera Don Giuseppe Donadelli, insieme ad altri 2 reggiani, da truppe
tedesche impegnate nel grande rastrellamento estivo contro Informazioni
partigiane nell'Appennino reggiano e modenese.
Il 19 agosto 1944, veniva ucciso con colpi d'arma
da fuoco alla nuca dai partigiani Don Luigi Ilariucci, parroco di Garfagnolo.
Il 22 settembre 1944 . veniva ucciso dai partigiani
nella sua canonica, insieme alla perpetua Zeferína Corbelli, il
parroco di Grassano, Don Aldemiro Corsi.
Il 25 ottobre 1944, Don Sperindio Bolognesi, parroco
di Nísmozza rimaneva ucciso dall'esplosione di una mina anticarro
deposta davanti alla sua canonica da un russo militante in una formazione
partigiana, che aveva incartato l'ordigno con tanto di un nastro azzurro.
Il 14 dicembre 1944, veniva ucciso dai partigiani
con una scarica di mitra Don Luigi Manfredi, parroco di Budrio di Correggio.
Il 19 aprile 1945 veniva ucciso dai partigiani don
Giuseppe Jemmi, colpevole di aver deplorato in una predica gli eccessi
della guerriglia antifascista che il 23 marzo aveva passato per le armi
due suoi parrocchiani.
L'11 aprile 1945, veniva prelevato dalla canonica
dai partigiani Don Dante Mattioli, parroco di Meletole, ed il nipote di
Mario Mattioli. I loro corpi non saranno mai stati ritrovati.
Il 13 aprile 1945, veniva trucidato dai partigiani,
con colpi di pistola sparati alla testa, il seminarista Rolando Rivi di
San Valentino, dell'età di 14 anni, dopo averlo dileggiato e percosso,
ed averlo fatto inginocchiare davanti ad una fossa4.
Il 29 aprile 1945, veniva prelevato nei pressi della
basilica della Madonna della Ghiara, a fronte alla Prefettura di Reggio
Emilia, da appartenenti Informazioni partigiane, Don Carlo Terenziani.Il
sacerdote, dopo essere stato oggetto di scherno e di violenze, veniva fucilato
a San Ruffino. Moriva gridando "Viva Cristo Re!".
Il 18 giugno 1946, viene ucciso da ex partigiani,
il parroco di San Martino di Correggio Umberto Pessina.
La storiografia reggiana della Resistenza di questo
ultimo mezzo secolo di dopoguerra ha scelto un silenzio omertoso nei confronti
dei sacerdoti uccisi dai partigiani.
La "Storia della Resistenza reggiana' di Guerrino
Franzini, Frigio, caposcuola degli storici-partigiani di matrice comunista,
non cita nessuno dei sacerdoti vittime della violenza antifascista. Questo
testo rimane tuttora la versione ufficiale della vicenda del partigianato
reggiano per l'associazione degli ex combattenti e per gli istituti storici
della Resistenza. L'incapacità ad affrontare la vicenda dei sacerdoti
uccisi dai partigiani, anche solo dal punto strettamente oggettivo di citare
il fatto storico, permane anche oggi fra i più giovani storici della
Resistenza reggiana5. Negli anni '90 è stata presa in
considerazione la vicenda di Don Umberto Pessina, nell'ambito, però,
degli errori giudiziari commessi nell'individuazione degli uccisori e della
successiva revisione dei processi nei confronti dei partigiani ingiustamente
condannati.
Rimane isolato lo sforzo di alcuni studiosi della
Resistenza cattolici, come Sandro Spreafico e Sereno Folloni, che hanno
avuto l'onestà di chiedere il riconoscimento storico dell'esistenza
di questi crimini6. Questo esempio, tuttavia, sembra non avere
avuto discepoli.
Al contrario, rimane intatta la consuetudine da
parte delle istituzioni reggiane di onorare con cerimonie ufficiali solo
i sacerdoti vittime della violenza fascista e tedesca, ignorando i religiosi
trucidati dai partigiani.
L'antifascismo reggiano di matrice comunista non
ha mai descritto e condannato, mettendone all'indice i protagonisti, i
crimini commessi dai propri combattenti durante la guerriglia partigiana.
A fronte di questa incapacità a fare i conti con gli aspetti criminali
della propria storia, si è sempre cercato di porre rimedio facendo
ricorso alla propria egemonia politica locale e portando come giustificazione
il pericolo di una strumentalizzazione neofascista.
Nei primi anni del dopoguerra, al di fuori del Vescovo
Beniamino Socche, solo due giornalisti osarono sfidare il silenzio su questi
crimini imposto dall'egemonia comunista: un partigiano delle fiamme verdi,
Giorgio Morelli, autore di denunce dei crimini partigiani dal giornale
"La Nuova Penna", morto in seguito alle ferite di un attentato
comunista avvenuto nel dicembre '45; e Mons. Wilson Pignagnoli, "l'uomo
più querelato di Reggio Emilía" per i suoi articoli
sul settimanale "La libertà".
Al di fuori di loro, a Reggio Emilia, solo il locale
Movimento Sociale Italiano aveva il coraggio di intervenire sull'argomento.
Se dopo oltre mezzo secolo a Reggio Emilia è
ancora vivo il desiderio di verità sulla parte negata della storia
della terra reggiana lo si deve a quella comunità di persone che
subì il bagno di sangue, le violenze, ed il Terrore del Triangolo
della Morte.
Costoro, anche quando non vi era speranza di ottenerla,
ma, piuttosto, rimaneva il timore di subire altri torti, non hanno mai
smesso di chiedere la condanna delle violenze e dei crimini perpetrati
dai partigiani.
Le loro richieste, rimaste inascoltate per decenni,
ed il silenzio di chi, pur sapendo, ha taciuto, faranno parte per sempre
della nostra storia.
- Luca Tadolini
- Presidente Centro Studi Italia
- (Reggio Emilia)
NOTE:
1-W.Pignagnoli, L'ultimo Vescovo-Principe
di Reggio Emilia L’episcopato reggiano di Mons Beniamino Socche (1946~1965),
Roma, 1975, Giovanni Volpe Editore, p. 97.
2-Confronta: G. Franceschi, in Lo Specchio,
n°. 49, 9.12.1973.
3-Confronta: L. Tadolini, Guerra senza
regole, Reggio Storia, anno 2000.
4-P.Russo, Rolando Rivi un ragazzo per
Gesù, Padova,, 1997 Edizione Del Noce p. 58.
5-Confronta: M. Storchi, Combattere si
. può vincere si deve. La scelta della violenzafra resistenza e
dopoguerra, (Reggio Emilia 1943-1946), Venezia, 1998, Marsilío Editori.
6-Confronta: S. Spreafico, I cattolici
reggiani dallo stato totalitario alla democrazia: la resistenza come problema,
vol.V, tomo I, S. Folloni, Una zona una resistenza, 1985, A.L.P.I. Reggio
Emílía.
da LA CHIESA REGGIANA TRA FASCISMO E COMUNISMO di Rossana Maseroli
Bertolotti. Editore Il Girasole d’Oro. 2001.